Questa è una storia di connessioni fra le persone che ha inizio con i tanti messaggi che ho ricevuto dopo il post che parla di Anna e del fatto che ci sia vita Oltre l’Architettura.
Questa è la storia di una di queste connessioni, fra me ed Elena, nata grazie alla bellissima email che lei mi ha scritto di getto dopo aver letto di Anna: e infatti questo post è scritto a quattro mani.
Questa è la storia di Elena, architetto innamorata del restauro, e della sua seconda vita, ma è anche una storia che parla di altre storie, quelle che Elena porta nei suoi laboratori ai bambini delle primarie.
E insomma io in questa storia mi ci sono riconosciuta e forse ti ci rivedrai anche tu: cominciamo a raccontarla.
“Mi chiamo Elena e sono un architetto. Mi sono laureata nel 2001 con una tesi in Restauro Archeologico. Ho iniziato a lavorare subito, occupandomi di interior e di restauro. A differenza di altri architetti, non ho avuto brutte esperienze: nessun capo ingrato o maleducato, niente mobbing, nessun problema con i colleghi. Sono stata facilitata a continuare il lavoro anche dopo le mie due gravidanze. Stipendi bassi, ma questa è la norma, per cui non si protesta.
Però… c’è sempre un però.
Vedevo colleghi entusiasti comprarsi numeri e numeri di riviste d’architettura, girare cantieri per scovare impercettibili avanzamenti, partecipare a corsi e a dibattiti. Mi sembrava di scimmiottare gli altri, senza davvero condividere la loro passione, e mi chiedevo perché anche a me non venisse quell’insana fame di Architettura.
Certo, davanti a restauri e a pietre vecchie i discorsi si facevano diversi, ma progettare un restauro nel Mondo Reale non è come farlo all’Università: ci sono clausole, norme e accordi che non possono essere disattesi, c’è l’Abuso, sempre pronto a saltar fuori, e ci sono i conti che devono tornare.
Mi dicevo che forse era normale vivere una vita lavorativa così, anche senza quella passione bruciante, come in un matrimonio comodo e rassicurante”.
Già a questo punto della storia, l’affinità che sento per Elena è forte: anch’io ho provato e provo questa sensazione di scarso coinvolgimento con quella che, oltre ad essere il mio lavoro, dovrebbe essere prima di tutto una passione, l’architettura, visto tutto il tempo e l’energia che le dedico. E anche a me è capitato di paragonarmi ad architetti incontrati sulla mia strada nei quali vedevo invece totalmente brillare quella stella. Mi ha portata a sentirmi inadeguata, a pensare che forse avevo completamente sbagliato strada, pur riuscendo bene nel mio lavoro. Poi ho ricordato che non era vero, che questa passione io, prima, l’avevo. Che sia stato, come dice Elena, lo scontro con la burocrazia, con la noia delle beghe normative, con gli inevitabili compromessi, con il controllo dei costi, che mi ha portata a perdere interesse per quello che faccio?
Insomma l’email di Elena mi ha subito coinvolta: ma come continua la sua storia?
“Poi ho iscritto il mio bambino più grande in una bella scuola statale, piena di maestre eversive e un po’ folli. In particolare c’era Paola che mi ronzava attorno come una mosca sul miele. Non capivo. Lei continuava a chiedermi perché non facessi un’incursione nella sua classe con un laboratorio d’arte. Laboratorio d’Arte? Io? Che non sono storica, né illustratrice, né pittrice? Certo l’Arte mi ha sempre emozionata, ma insegnarla ai bambini è un’altra cosa. E poi c’era quell’altra questione legata ad un giuramento fatto a me stessa: mai e poi mai avrei insegnato”.
Ecco una nuova connessione, fra Elena e la maestra Paola, che sa leggere in lei una potenzialità inespressa che Elena non sa ancora di avere. Alla fine Elena cede: le progetterà (e la scelta della parola non può essere un caso) un laboratorio d’arte ispirato a Mirò del quale, per un altro tassello del destino che va al suo posto, ha appena visitato la Fondazione durante un viaggio a Barcellona.
“Da lì è iniziato tutto. O meglio, non sapevo neppure come iniziare: io, che di solito programmo anche la gradazione dei colori delle linee in un disegno autocad, sono entrata in quella classe con la cintura di sicurezza slacciata, in caduta libera. Le parole mi sono uscite di bocca e il laboratorio ha preso il volo. E’ come se mi fossi vista per la prima volta: le mie passioni, tutte, dal progetto alla storia dell’arte, dal mondo dei libri a quello dei colori, tutto, tutto tornava e trovava un senso.
Ero stravolta: come quando ti innamori di un uomo diverso dai tuoi stereotipi e non riesci più a controllare le tue emozioni”.
Mi piace molto questo parallelo che Elena fa fra quello che le sta capitando e un rapporto d’amore: dal matrimonio comodo e rassicurante, ma senza passione, eccoci all’innamoramento folle e fuori dagli schemi, che la sorprende e la travolge.
“Le cose si sono susseguite velocissime e spesso senza la mia regia. Dopo il primo laboratorio, Mara una mamma, insegnante in una scuola privata, mi ha chiesto di presentarmi alla sua direttrice. Sono andata all’incontro senza un curriculum, senza un portfolio, con le foto ancora sparse in tante cartelle. Io? Maniaca del controllo? Regina incontrastata della Sicurezza? Sono uscita un’ora dopo con un progetto della durata di un anno in mano e un preventivo da fare, preventivo poi accettato in meno di un mese e senza nessuna richiesta di sconto!” (noi architetti non ci siamo abituati! – NdR).
Forse ora potrai pensare che Elena sia stata fortunata e che questa opportunità le sia capitata un po’ per caso e un po’ grazie all’incontro con le persone giuste al momento giusto: però è vero che quando il treno passa, siamo noi a dover riconoscere che è il nostro e a buttarci per salire a bordo. Ed Elena ha scelto di rischiare.
“Un laboratorio tira l’altro e oggi mi trovo con l’agenda piena e un portfolio decisamente ricco. Dopo Mirò sono arrivati Mondrian, Matisse, Gauguin, Picasso, Maria Lai, Munari”.
Ora vivo perennemente tra ritagli di carta e fogli disegnati. Compro libri d’arte in modo compulsivo. Ora capisco i miei colleghi e le loro librerie sovraccariche di Casabella ed Abitare: ora, sì, capisco quella fame.
Finito di leggere il messaggio di Elena, decido di contattarla. Le racconto di come mi sono riconosciuta nel suo sentirsi fuori luogo, inadeguata, nell’ambito del mio lavoro da architetto: ed ecco l’esito della nostra lunga telefonata.
“La sensazione di inadeguatezza di cui parli la conosco bene. Sono brava nel mio lavoro: le persone con cui mi sono trovata a collaborare mi hanno sempre stimata e ho sempre capito, razionalmente, di poter fare bene. Ho ripensato anche al mio periodo di formazione: ho avuto ottimi risultati nei miei studi, ma oggi penso che sia stato merito più che altro del mio essere rigorosa, del pretendere sempre il massimo da me stessa; probabilmente avrei ottenuto gli stessi risultati non dico qualsiasi altra cosa avessi studiato, ma quasi. Tutto avveniva di testa. Ho fatto anch’io nottate sui progetti, ma più per un senso di responsabilità che per autentica passione”.
Ogni tanto mi assale la strana, strisciante sensazione di aver sbagliato tutto, negli studi e nel lavoro. Poi penso che nulla accada a caso e che, in fondo, tutto quello che ho fatto finora sembra avermi preparato la strada per questa nuova vita.
Come si svolge uno dei tuoi laboratori?
“Entro in quelle classi ricordandomi sempre che io sono un mezzo, uno strumento: il mio compito è solo quello di portare ai bambini l’esempio di un artista, partendo generalmente dal racconto della sua vita e da un tema centrale, connesso a quella storia. Come il capitano di una nave, dò la direzione da cui partire e dalla quale poi i bambini salpano per il loro viaggio: rispondono nei modi più svariati e sorprendenti e i lavori finali sono in tutto e per tutto il frutto della loro rielaborazione e del lavoro delle loro mani. Non copiano l’artista, ma imparano a pensare come lui: attraverso Mondrian si avvicinano alla geometria, con Munari esplorano l’equilibrio allenando gli occhi a trasformare ciò che vedono e a superare la banalità, insieme a Mirò affrontano i loro sogni e con Matisse imparano a non temere gli ostacoli e i cambiamenti.
Le maestre sono sempre al mio fianco: grazie a loro riesco ad entrare davvero dentro la classe, a declinare il laboratorio in molteplici esperienze, ciascuna tagliata sul singolo bambino. Non ci sono schede da colorare, disegni da riprodurre: i bambini vengono stimolati a farsi domande e ad uscire dai percorsi noti e rassicuranti per inoltrarsi nel nuovo. Anche io sto imparando: ci sono maestre speciali nelle nostre scuole capaci per prime di farsi travolgere dalla novità che porta fuori dalla didattica codificata per assumersi il rischio di osare. Oltre alla maestra Paola, in questi mesi c’è stata anche la maestra Nicoletta a guidarmi e ad aiutarmi a capire che ogni bambino è un mondo da esplorare”.
A chi ti ispiri?
“Ai miei tre numi tutelari, Rodari, Munari e Lionni. Lionni, in particolare, ha un ruolo speciale in questo percorso: “Piccolo blu e piccolo giallo” (qui i gender fobici si coprano gli occhi – NdR) fu scritto quasi per caso durante un viaggio in treno, strappando i fogli colorati che aveva nella cartellina con l’intento di intrattenere i suoi due nipoti. Anche a me le cose sono capitate un po’ così, per caso.
Mi preparo a fondo prima di partire con un nuovo laboratorio, passo molto tempo in libreria a cercare documentazione e in questo girovagare mi capita di fare scoperte fondamentali per il mio percorso. Cercando materiale su Matisse, per esempio, mi è capitato un libro di Alastair Sooke, “Una seconda vita”, che racconta appunto la seconda vita di Matisse dopo l’operazione che lo ha lasciato in bilico tra la vita e la morte: già all’apice del successo, capisce di aver sempre vissuto con la cintura allacciata (era una sua citazione quella che ti ho scritto) e che la malattia è l’Occasione per lasciare le sue mani libere da paure e da condizionamenti, e anche da quanto ha imparato negli anni del successo. Io credo che i libri ti parlino, ti cerchino, e questo l’ho letto tutto d’un fiato: era un po’ anche la mia storia”.
Come riesci a far quadrare tutto: il lavoro in studio, i laboratori e la vita familiare con i tuoi due figli?
“La mia fortuna è che in studio mi hanno concesso il part-time, più un giorno alla settimana libero per poter tenere i laboratori. Lavoro fino al primo pomeriggio, con la dovuta flessibilità quando ho qualcosa in più da fare, e poi ho il tempo per occuparmi dei miei figli e di pensare ai progetti da portare a scuola. Non ti nascondo che al momento mi sento dentro un enorme frullatore e mi capita di lavorare anche fino a notte inoltrata per la preparazione del materiale che precede lo svolgimento di un laboratorio. E mi ritrovo alle due di notte con le spalle bloccate e gli occhi che cadono dal sonno perché – per esempio – ho incollato e fustellato pagine e pagine di un quotidiano per preparare i taccuini su cui successivamente i bambini creeranno i loro bozzetti. Vado a letto stanca, ma soddisfatta della mia giornata”.
Hai fatto una formazione specifica?
“Sto seguendo dei corsi attraverso Artebambini, un ente riconosciuto dal Miur, che offre un percorso di formazione e aggiornamento per insegnanti, educatori e genitori e che è anche una casa editrice: pubblica, fra le altre cose, la rivista DADA, che parla di arte ed è rivolta proprio ai ragazzi. La sede di Artebambini è a 50 metri dalla mia vecchia casa: un altro segno che non potevo ignorare. Ora vorrei seguire i Master in Metodologia Bruno Munari presso l’Associazione omonima che ha sede a Milano: non riesco a decidermi perché dovrei allontanarmi da casa per alcuni giorni di seguito e soprattutto perché sarebbe la dichiarazione ufficiale che questa attività sta davvero diventando il mio lavoro”.
Continuerai a fare l’architetto?
“Per il momento sì, continuerò a fare l’architetto: non so se potrei mai smettere, anche per la stima che provo per le persone con cui collaboro. E in fondo penso ad ogni mio laboratorio come ad un progetto: per esempio uno dei prossimi temi che vorrei affrontare con i bambini è quello della Casa e della Città, e qui la mia formazione tornerà ancora una volta, e si parlerà di Munari e di Charles e Ray Eames. Però il cambiamento che sto vivendo mi ha insegnato che ogni schema può saltare da un momento all’altro e quindi non so dire davvero che cosa farò. Per ora è una questione di bilanciamento fra i due lavori: finché si tratta di tenere un laboratorio a settimana posso continuare così, quando e se inizieranno ad essere di più, questo bilanciamento si ribalterà e a quel punto dovrò pormi sul serio delle domande”.
Inizi ad avere un ritorno economico dalla nuova attività? E come ti promuovi?
“Devo dire che se penso al mio guadagno orario come architetto e lo paragono a quello da consulente esterna è quasi imbarazzante fare il confronto: sì, un ritorno economico inizia ad esserci. Per ora tutto è avvenuto tramite passaparola e al momento non ho ancora una pagina web, anche se credo arriverà a breve: nel frattempo ogni giorno il mio portfolio si amplia e prende una consistenza non più definibile come semplice “hobby”. Penso che il momento in cui avrò finito il lavoro di editing sul portfolio (missione impossibile per una perfezionista) e mi deciderò a spedirlo alle scuole per promuovermi sarà il passo definitivo verso questa nuova vita. E’ un passo che fa paura perché implica l’accettare di non poter controllare tutto quello che mi sta accadendo. Nel mio portfolio ho riportato una citazione di Chandra Livia Candiani che dice esattamente quello che provo ora: “Così, giorno dopo giorno, anno per anno, ho imparato a dimorare nell’inaspettato, non è che mi aspetto di tutto, è che sto in una zona precaria e marginale dove so di non poter controllare quasi niente. E comincio a starci bene. Proprio vivissima. Fa tremare essere vivi, vivissimi fa tremarissimare…”.
Alla fine della telefonata convinco Elena a spedirlo a me il suo portfolio, come prova generale per il suo passo definitivo: neanche a dirlo, è bellissimo.
Le connessioni, il fare rete, servono a questo: e io tifo per lei.
Se hai una storia interessante da raccontare, contattami.
Come ho scritto a Marta, siamo già tre maglie della stessa rete. Sarebbe bello davvero incontrarci
facciamolo 😉
Cio, ma è fantastica questa storia <3 e credo che sia venuto fuori bene il discorso pre (fare le cose con rigore) e il dopo ( fare le cose con passione) che ho sentito anche io!
Grande Marta, prima o poi dovrei organizzare un incontro tra tutte le intervistate! Mi viene già voglia di conoscere Elena!
Bravissima!!!
Grazie Anna! Vero, sarebbe bello incontrarsi: a quanto pare abbiamo molto in comune, visto che Elena mi ha scritto proprio per essersi riconosciuta nella tua storia!